La pastorizia transumante
Per quasi 3.500 anni, dall’Età del Bronzo fino agli albori del XX secolo, la pastorizia transumante è stata l’attività economica prevalente lungo l’intera dorsale appenninica abruzzese: una attività certo comune ad altre aree del Mediterraneo, ma che qui raggiunse una dimensione peculiare, pervasiva, predominante.
Ma cos’è, la pastorizia transumante? È un sistema di allevamento seminomade del bestiame, nel nostro caso principalmente ovino, che sfrutta in modo ottimale durante l’arco dell’anno la complementarità fra gli alti pascoli montani, inagibili in periodo invernale ma che nell’estate raggiungono il massimo rigoglio, e le erbose pianure di bassa quota, che, arse e steppose in estate, durante i mesi freddi mantengono invece condizioni ambientali e climatiche ottimali. La transumanza è lo spostamento stagionale di uomini e greggi che, alla fine della primavera e all’inizio dell’autunno, percorrendo a piedi centinaia di chilometri, si muovevano fra le due aree geografiche di pascolo.
Nel mondo antico, per oltre 1500 anni (dall’Età del Bronzo, XV sec. a.C., alla fine del I sec. a.C.) la pastorizia transumante venne praticata nella sua forma più locale, la monticazione, cioè lo spostamento stagionale verticale fra i pascoli montani e le pianure direttamente sottostanti. Fu solo con la vittoria definitiva dei Romani ad esito della Guerra sociale, nell’88 a.C., contro le bellicose tribù Italiche (fortemente territoriali, che non consentivano spostamenti a lungo raggio) e la imposizione della Pax Romana all’intera penisola, che si realizzarono le condizioni politiche ed economiche per la nascita della transumanza orizzontale a lungo raggio. Superato il frazionamento del territorio e soppressa la conflittualità sia fra le tribù italiche che con i Dauni (gli agricoltori del Tavoliere), la pastorizia poté estendere i propri orizzonti alla piana pugliese. Essa, un tempo fertilissima, devastata dalle guerre annibaliche e dallo sfruttamento latifondistico, si prestò ottimamente a una pastorizia di tipo imprenditoriale, sostenuta dai grandi capitali delle famiglie patrizie romane.
È dunque nel mondo romano, duemila anni fa, che i grandi tratturi storici disegnano i propri itinerari, e con essi si determina il destino plurimillenario di gran parte del paesaggio geografico e umano dell’Abruzzo, del Molise e del Tavoliere di Puglia. Dal primo secolo d.C. grandi greggi, condotte da schiavi/pastori, presero dunque a percorrere le calles publicae, gli antichi tratturi che, come dice Varrone: «congiungono le distanti pasture, come l’arconcello riunisce le due ceste da soma». Peltuinum, l’antica città italico-romana a sud dell’Aquila, o Saepinum, in Molise, sorsero appunto lungo la rete di tratturi che conducevano le greggi ai pascoli del Tavoliere, il quale già da allora risultava sottoposto a regolamentazione fiscale, tanto che il suo stesso nome pare derivi dalle Tabulae Censoriae, i registri delle proprietà dello stato romano.
Nel periodo imperiale, la pastorizia transumante raggiunse dunque un primo grande picco di sviluppo, sostenuta com’era da ingenti capitali, condotta con l’impiego di decine di migliaia di schiavi e grazie alla Pax Romana, che col proprio saldo dominio e controllo dei territori permise gli spostamenti a lungo raggio e l’utilizzo stagionale complementare dei pascoli estivi montani con quelli invernali nella piana pugliese. Questa fase durò alcuni secoli, definì l’esistenza e codificò il percorso dei tratturi, assegnando un destino alle aree che vi erano coinvolte e disegnandone quell’assetto che avrebbero sostanzialmente conservato sino alle soglie della contemporaneità.
Il secondo e massimo sviluppo si ebbe invece fra XII e XV secolo, quindi fra tardo Medioevo e Rinascimento, cioè dalla fondazione dell’Aquila, a metà Duecento (che testimonia direttamente la rinascita della attività armentizia con forte sostegno di capitali) all’avvento, dagli inizi del XV secolo, della dominazione Aragonese, che vide la ripresa, il rilancio e infine la riorganizzazione meticolosa della transumanza portandola ai massimi volumi economici.
Queste due grandi fasi storiche, separate da quasi un millennio di riduzione delle quantità di bestiame allevato e di ripresa importante alla monticazione locale, vedono tuttavia un ritorno pressoché sistematico delle nuove rotte transumanti rinascimentali sugli antichi tracciati romani: un fatto assolutamente non ovvio, che testimonia come il fenomeno non si fosse mai davvero spento. (altrimenti in un millennio i percorsi tratturali antichi sarebbero stati dimenticati e scomparsi, come scomparvero senza lasciare traccia e memoria tantissimi centri abitati d’epoca romana, riemersi solo grazie alle ricerche archeologiche degli ultimi due secoli).
Il tragitto dei transumanti avveniva lungo una rete regolamentata di larghissime vie erbose (larghe ben 111 metri), destinate esclusivamente al passaggio delle pecore: i tratturi, che già a partire dall’epoca romana, e con più vigore durante la dominazione aragonese, furono rigidamente determinati e protetti da leggi. I maggiori e più lunghi, anche 250 chilometri, si snodavano dalle aree più interne dell’Abruzzo, e precisamente dalla conca dell’Aquila, da Celano nella Marsica e da Pescasseroli nell’alta Val di Sangro, per giungere, attraverso il Molise, fino al Tavoliere di Puglia, nei dintorni di Foggia e Candela. Ma innumerevoli altri tratturi, tratturelli e bracci (di ampiezza e importanza decrescenti) confluivano verso i tre tratturi magni raccogliendo greggi da tutta la regione, esattamente come fanno i grandi fiumi con i loro affluenti.
I tratturi erano così larghi perché dovevano consentire non solo il transito ma anche il pascolo delle greggi che, lentamente, vi scorrevano sopra. Col proprio percorso, i tratturi intercettavano e utilizzavano sistematicamente i terreni migliori: i più piani, senza forti dislivelli e passaggi rocciosi, con frequenti fonti d’acqua, ben grassi, così da garantire erba folta e abbondante, e mai troppo distanti dai centri abitati. Si trattava dunque di terreni preziosi, ambìti (soprattutto nell’ottica della povera agricoltura preindustriale), ma che, pur venendo utilizzati per pochi giorni due sole volte all’anno (all’andata, a fine estate, e al ritorno, a fine primavera), non potevano mai essere messi a coltura, pena la morte per chi lo avesse fatto. A questo controllo era deputata la Polizia Tratturale, corpo che aveva appunto il diritto di messa a morte immediata dei confinanti che avessero invaso il tratturo con le loro coltivazioni. Un potere e una crudeltà inspiegabili, se non alla luce delle ricchezze enormi che questa attività economica era in grado di produrre.
Durante la marcia, che durava anche quattro o cinque settimane, il cammino conosceva molte soste. Per il benessere di uomini e animali, diverse furono nei secoli le soluzioni per offrire ai transumanti ricovero e ristoro. Oltre alla regolare presenza di taverne, fonti e poste (specifiche aree di raccolta, controllo e protezione delle greggi), particolari e assai diffuse strutture di servizio lungo i tratturi erano le chiese tratturali (anche dette campestri, o pastorali), capaci di offrire non solo assistenza e sollievo spirituale, ma anche acqua per uomini e greggi, un sicuro ricovero alle bestie e un tetto per la notte ai pastori. Tutte queste strutture erano disseminate con regolarità lungo l’intero percorso, così da poter essere raggiunte in tempo per la sosta notturna.
Effetti e conseguenze della pastorizia transumante sull’Abruzzo
La pastorizia transumante ha disegnato ogni aspetto dei territori che ha interessato: il paesaggio e l’uso dei suoli, innanzitutto, con la prelazione sistematica dei tratturi sui terreni migliori, la ricerca ossessiva di pascoli e la subalternità dell’agricoltura nei confronti delle necessità delle greggi (le enormi praterie montane, ad esempio, furono nei millenni strappate al bosco dai pastori, con una capillare azione di disboscamento. Campo Imperatore, che tutti pensiamo essere uno straordinario paesaggio naturale, ne è la testimonianza più spettacolare, giacché fino al Duecento era ancora coperto da una unica, enorme foresta); la distribuzione, la localizzazione e la forma stessa dei paesi e dei poli urbani (le centinaia di piccoli centri montani, chiusi e arroccati sulle cime, nacquero con questa forma non solo in conseguenza della grande pericolosità dei tempi, ma anche della monocultura dell’allevamento ovino, che nella montagna aveva il suo regno. La enorme massa degli ovini transumanti era infatti del tutto estranea ai borghi: le pecore transumanti vivevano sempre all’aperto, rappresentando in pratica un capitale mobile che non si inseriva mai direttamente nella vita dei villaggi); poi le vie di comunicazione, disegnate e condizionate dai tratturi; l’economia, con la pastorizia che da sola impegnava oltre due terzi della popolazione regionale; e quindi, di conseguenza, l’organizzazione sociale e i modi di vivere, le espressioni culturali, le tradizioni artigiane, e via dicendo.
Ha creato le risorse per tutto ciò che di bello e di grande queste epoche ci hanno lasciato: arte, cultura, chiese, palazzi, monumenti. La maggior parte della ricchezza dei territori veniva da questa attività, che arrivò fra Quattrocento e Cinquecento a raggiungere dimensioni enormi, produsse una analoga ricchezza ed ebbe un bacino di commercializzazione europeo.
La pastorizia transumante abruzzese è stata dunque una attività enorme, coinvolgente la maggioranza assoluta della popolazione. Una attività talmente connaturata e dipendente dalla natura e dalla geomorfologia dell’Abruzzo montano e interno, da aver condizionato storicamente tutti i modelli insediativi sul territorio: tracciati stradali e direttrici di movimento, localizzazione e forma dei centri abitati, uso delle risorse naturali, modellamento antropico del territorio, struttura della società, forme di costruzione e distribuzione della ricchezza, modelli ed espressioni culturali, tradizioni e patrimoni: tutto, nell’Abruzzo interno, è stato in prima battuta disegnato e caratterizzato dalla pastorizia transumante. Essa è stata, in modo univoco e coerente, l’attivatore originario e prioritario nella costruzione storica, in 35 secoli, del paesaggio della regione, della sua società, della sua economia, della sua identità culturale.